I cambiamenti di natura sociale, economica e politica, insieme a una nuova prospettiva di sostenibilità, impongono ai professionisti del patrimonio culturale nuove sfide e responsabilità. Da più parti si rileva l’esigenza di sostenere questo cambiamento praticando un’effettiva ed efficiente validazione delle competenze, sostenendo la transizione al mondo digitale e migliorando la formazione continua dei professionisti del patrimonio. Per questo motivo, la Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività Culturali ha promosso e presentato i risultati della ricerca “Competenze per il patrimonio culturale. Profili e formazione” con l’obiettivo di delineare un quadro dei profili professionali attivi nella filiera del patrimonio e dei relativi sistemi di formazione e reclutamento: un tema di rinnovata centralità anche alla luce massiccio turnover che oggi investe la pubblica amministrazione italiana.

Il dibattito europeo
Con un focus incentrato sul sistema italiano, la ricerca nasce e si riversa all’interno del più ampio contesto europeo, nello specifico quello di “Cultural heritage action to refine training, education and roles (CHARTER)”, il progetto finanziato dal programma Erasmus+ con una dotazione di 4 milioni di euro e finalizzato alla costruzione di una strategia comune per le professioni del patrimonio culturale. Il progetto CHARTER, però, rappresenta solo l’ultima fase di un lungo percorso di riflessione che la Commissione Europea porta avanti da tempo e che ha subito una forte accelerazione con l’istituzione dell’ Anno Europeo del Patrimonio Culturale nel 2018, nei cui obiettivi programmatici si legge sono: “da sostenere lo sviluppo di competenze specialistiche e migliorare la gestione e il trasferimento delle conoscenze nel settore del patrimonio culturale, tenendo conto delle implicazioni del passaggio al digitale” (Fostering cooperation in the European Union on skills, training and knowledge transfer in cultural heritage professions, OMC 2018)

Il contesto italiano
In Italia il dibattito sulle professioni dell’heritage è stato spesso trascurato o affrontato con provvedimenti normativi frammentari, complice un sistema di reclutamento che, invece, di agevolare le competenze le ignora. Un contributo importante in questo senso è stato senz’altro offerto da ICOM che, tramite la Carta Nazionale delle Professioni museali (ICOM 2006, ICOM 2007) , ha contribuito a sanare la mancanza di definizione delle professionalità presenti nei musei, soprattutto, a seguito della riorganizzazione del MiBACT, oggi MiC, nel 2014.
In questo contesto e tenendo a mente la difficoltà di misurare un mercato spesso sommerso, caratterizzato da una incompletezza nella classificazione delle competenze, la Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività Culturali ha voluto fornire un quadro d’insieme dei profili professionali oggi operanti in Italia nel patrimonio culturale. La ricerca si è svolta seguendo due filoni tematici: da una parte analizzando l’entrata nel mondo del lavoro per i laureati nel settore dei beni culturali, condotta in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione della Facoltà di Medicina e Psicologia- Sapienza Università di Roma . Dall’altra, un’indagine statistica, realizzata con Troisi Ricerche s.r.l. e CLES s.r.l, sulle caratteristiche dei profili impiegati in oltre 900 luoghi della cultura – 512 musei, 53 aree e parchi archeologici, 133 complessi monumentali, 134 biblioteche e 84 archivi – individuati su tutto il territorio nazionale in ambito pubblico e privato e dei loro fabbisogni in termini di reclutamento e di formazione del personale esistente.

I risultati della ricerca
Quello che emerge è un quadro debole sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: fragilità delle strutture organizzative, precarietà dei contratti dei suoi lavoratori e un ruolo ancora troppo marginale di certe figure professionali non tradizionali. Fra i 200.000 laureati e specializzati a La Sapienza di Roma dal 2008 al 2019, i relativi contratti di lavoro subordinato e para subordinato attivati sono poco meno di 800.000 unità (0,3%) contro le circa 140 milioni di giornate effettivamente lavorate. Mentre il numero di contratti attivati misura il livello di spendibilità delle competenze, il numero complessivo dei giorni di lavoro costituisce un indicatore di rilievo per stimare la consistenza della domanda: un dato che sottolinea in maniera chiara la necessità di costruire un ponte tra i bisogni effettivi del mercato del lavoro e la preparazione dei profili in uscita, ma fa anche riflettere sulle modalità di lavoro dei professionisti spesso assunti a progetto o per brevissimi periodi.

Carenza di personale e professionalità
Il rapporto tra il numero degli occupati e i reali fabbisogni dei luoghi della cultura coincide? Delle circa 20.000 figure previste nelle piante ministeriali, oggi sono presenti soltanto 9.000 dipendenti. Il panorama degli Istituti della cultura italiani si compone per lo più di piccole organizzazioni, che hanno tra uno e dieci dipendenti. Solamente in alcuni casi, in special modo tra le biblioteche e i musei, il campione presenta una percentuale più ampia di strutture di maggiori dimensioni con oltre 50 dipendenti. Il 26,5% dei luoghi della cultura intervistati dichiara di non avere nessuna unità di personale subordinato, mentre il 60,4% asserisce di fare ricorso a collaboratori esterni. Ad aver usufruito della concessione a terzi sono il 48% dei musei, il 34% delle biblioteche, il 10,7% degli archivi, il 47% dei complessi monumentali, il 55% delle aree e parchi archeologici. Negli istituti di titolarità MiC, e in particolare nei musei, si rileva una maggiore presenza di personale con ruolo direttivo in possesso di una laurea o un titolo post-laurea. Viceversa, negli istituti afferenti agli enti locali sono presenti in maniera consistente anche ruoli direttivi coperti da soggetti che detengono il diploma come massimo titolo di studio. Un problema strutturale più che numerico. “Per la prima volta dalla riforma del 2014 – spiega Vittorini – il Ministero sta andando incontro a uno svuotamento delle sue file causa pensionamento che si accompagna a un profondo cambiamento del sistema culturale, sempre più chiamato a nuove sfide”.

Il problema dell’incompatibilità tra le competenze necessarie e quelle reperibili lo si deve risolvere riflettendo sulle forme di reclutamento, che spesso non consentono di selezionare figure adeguate al ruolo ricercato. “Oggi non basta più fare la conta del numero delle persone che mancano – spiega Alessandra Vittorini, direttrice della Fondazione – ma, alla luce dei nuovi scenari, è necessario anche definire con chiarezza di quali figure e di quali competenze si ha veramente bisogno, sia per quanto riguarda l’area tecnico/specialistica sia per quella gestionale. Non basta dire che serve assumere, bisogna sapere chi. In questo senso andrebbe anche ripensato il ruolo del concorso pubblico affinché assuma il suo vero compito a servizio dell’amministrazione committente e perché questo avvenga è necessario che le istituzioni esprimano i proprio bisogni”.

Le professioni
Basti pensare che il registrar è presente solo nel 15% delle realtà intervistate, ma nel 67% dei casi svolge anche altre funzioni, così come il responsabile dei servizi educativi che è presente nel 43% dei casi, ma solo il 7% svolge unicamente questo ruolo o il responsabile delle pubbliche relazioni, comunicazione, marketing e fundraising presente nel 38% dei casi, ma che nel 63% dei casi svolge anche altre mansioni.

Corsi-concorsi e promesse
Di nuovi assunzioni e di bandi si parla dal 2019 e tre ce ne sono stati, solo a livello dirigenziale il MiC conta oggi 95 dirigenti di ruolo su una dotazione organica di 192 unità. I raggiunti i limiti di anzianità di un personale già con un’età elevata e le misure per il pensionamento anticipato di ‘Quota 100‘ e ‘Opzione Donna‘ potrebbero portare a numerosi posti vacanti nella struttura territoriale del ministero. Lo scorso 20 gennaio il ministro Dario Franceschini nel question time alla Camera dei Deputati ha detto: “Se vogliamo tenere il passo con le nuove tecnologie, con la digitalizzazione, con la semplificazione è necessario abbassare l’età media del personale e portare giovani professionalità all’interno della pubblica amministrazione». «Nel fabbisogno del piano triennale 2021 – ha specificato – si è previsto il reclutamento di 250 professionalità specialistiche di qualifica dirigenziale: sono bibliotecari, archivisti, storici dell’arte, architetti, paleontologi. Già nel periodo ‪2017-18‬ – ha proseguito Franceschini – grazie a un concorso bandito nel 2016 in deroga al blocco assunzionale, sono stati assunti 1000 funzionari tecnici quali archeologi, architetti, bibliotecari, archivisti, esperti di promozione e formazione, che sono già mediamente giovani e di grande qualità. Il decreto Agosto – ha aggiunto Franceschini – ha inoltre previsto la possibilità di svolgere un apposito corso-concorso. È una nuova modalità, per la nostra amministrazione, per reclutare dirigenti dotati di specifiche professionalità tecniche nei settori della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, sulla base di una collaborazione tra la Scuola del Patrimonio del Ministero e la Scuola nazionale della pubblica amministrazione ed è già in fase attuativa. In aggiunta a questo – ha concluso il Ministro – sono state adottate nell’ultimo decreto specifiche misure ispirate all’esperienza positiva di Pompei: gli istituti autonomi potranno così ricorrere a contratti di collaborazione per professionisti esperti in materia di tutela del patrimonio culturale”.

Precarietà e nuovi percorsi di studio
Sottolinea l’inadeguatezza della metodologia di reclutamento sinora adottata in ambito culturale è, soprattutto, lo stato di precarietà in cui vivono molti dei suoi lavoratori, ma che, come spiega la direttrice Vittorini, molto spesso risulta connaturato con le specificità di certe professioni: “Pensiamo all’archeologia preventiva o ai calendari di mostre temporanee: per la natura di queste attività gli incarichi affidati sono necessariamente subordinati all’estensione temporale del lavoro. Il ragionamento, quindi, non va fatto solo sulla natura precaria di alcuni contratti, che rimane un tema fondamentale da approfondire, ma piuttosto sui modelli professionali di certi mestieri molto specialistici e su come garantire ai suoi lavoratori continuità e necessaria qualità applicativa”.

Come intervenire?
Nonostante l’esigenza emersa di intervenire sul numero e sulla qualità dei profili che operano nel patrimonio culturale, Alessandra Vittorini si dice fiduciosa del futuro: “NextGenerationEU, lo strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa, insieme al bilancio a lungo termine, costituisce il più ingente pacchetto di misure mai finanziato dall’Unione Europea e pone tra i suoi obiettivi strategici proprio quello dell’aggiornamento delle competenze. Anche per quanto attiene alla parte italiana, il Recovery Plan ha tra le sue priorità il tema della riforma della pubblica amministrazione. Dunque se un ammodernamento delle metodologie di reclutamento e di valutazione dei bisogni prima era necessario, credo che oggi sia anche possibile”.

Digital first
Che fare? Nel 76% dei musei italiani non esiste un piano strategico per l’innovazione digitale, come registrato a fine 2020 dall’Osservatoro innovazione digitale nei beni e attività culturali del Politecnico di Milano L’emergenza sanitaria ha spinto verso un cambio di paradigma della programmazione, delle strategia e delle competenze in ambito culturale. Forse lavorando in sinergia con l’genzia per l’Italia digital, attraverso un ripensamento strutturale dell’attività offline e online degli istituti di cultura e un veloce recupero del ritardo storico nella digitalizzazione del patrimonio con una messa online, oltre dei contenuti (sinora concentrati sulla visita per migliorarne la qualità o sulle collezioni), anche di tutto il back office, sarà possibile puntare alla sostenibilità finanziaria. Diversamente vedremo alcune strutture non riaprire dopo l’emergenza. Economisti della cultura, esperti di diritto – dai contratti e ai copyrihgt digitali –, ingeneri delle piattaforme web, digital user experience developer e game designer, digital marketing manager, esperti di audience development e di sicurezza, customer care e data analist saranno utile per costruire nuovi modelli di sostenibilità, nei quali ripensare le voci di costi e di ricavi. «Considerando che entrate da biglietteria e finanziamenti pubblici potranno essere impattati negativamente dalla crisi, è utile concentrarsi su fonti di ricavo alternative» scrive la professoressa Michela Arnaboldi nell’ultimo report dell’Osservatorio del Polimi. «Sarà utile soffermarsi su servizi come la vendita di immagini per finalità di ricerca, riproduzione e commerciali (già offerti dal 32% dei musei) e su servizi di abbonamento per l’accesso a servizi tramite web e applicazione. Si stanno studiando forme di abbonamento o di biglietto più ricche che contemplano l’accesso a itinerari e percorsi tematici, in cui l’integrazione online-onsite permetterà di tornare più volte al museo e accedere a contenuti sul web on demand». Dal Politecnico di Milano tre ipotesi di modalità di offerta di contenuti digitali: la conoscenza digitale proposta in modo gratuito, in modalità freemium (parte gratuita e parte a pagamento) o interamente a pagamento. Per queste ultime due modalità la riflessione si focalizza sulla diffusione dei contenuti: dove? Su piattaforme proprietarie delle istituzioni o su canali terzi, come ipotizzato dal ministro con ITsART? Dall’Osservatorio del Politecnico di Milano per il momento la risposta è: «di più agevole e rapida applicazione la possibilità di veicolare su canali proprietari oltre ai contenuti gratuiti anche quelli a pagamento a forte interazione come le visite guidate online alle scolaresche e le passeggiate con il direttore». Naturalmente se i contenuti saranno anche in lingua straniera si aprono praterie e le distanze non giocheranno più a sfavore, anzi: fuori dall’Italia c’è un pubblico enorme di appassionati d’arte, musica, cultura italiana tra gli Amici dei musei americani e tra i turisti cinesi (anche qui è partita l’azione di digitalizzazione del patrimonio culturale e di fruizione online) pronti a pagare un biglietto online per conoscere il nostro vastissimo patrimonio!

di Roberta Capozucca e Marilena Pirrelli

Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/quali-competenze-il-patrimonio-culturale-ADA7QiMB?refresh_ce=1